venerdì 23 agosto 2019

L’enigma dell’ora (di Andrea Pagani)

en mémoire de
Gérard de Nerval
Ténébreux, Inconsolé, Visionnaire

L’enigma dell’ora
di Andrea Pagani
Ci misi poco a cambiare idea.
Bastò, probabilmente, la vista, all’orizzonte, del profilo ambiguo e inafferrabile del castello.
Il vapore denso, lattescente della nebbia.
La sera era grigia e trasognata, come lo stato d’animo che mi visitava, una via di mezzo fra la malinconia e una strana improbabile apprensione.Per questo avevo scelto, contrariamente ad ogni previsione, di uscire, di gettarmi nella serata brumosa, di fare una passeggiata in mezzo alla foschia.
Il corso era deserto, i ciottoli scivolosi d’umidità.
La nebbia avvolgeva ogni cosa.
Una caligine grigia conferiva all’atmosfera un senso d’incredulo smarrimento.
Le torri del castello sbucavano fuori dalle coltri di nebbia come gli alberi di prua e di poppa di un antico veliero rinascimentale, dove la guardia dei leoni era il gonfio ed eretto pennone.
Mi tirai su il bavero del cappotto.
Fui visitato da un brivido di freddo, lungo la schiena, e orientandomi a fatica, guidato dall’istinto, mi diressi verso l’entrata di un palazzo.Superai la soglia, lasciando dietro di me il viluppo incongruo delle incertezze.
Mi agitava un umore sommesso, che sembrava appartenere ad un mondo arcaico, primitivo, avvolto in un’altra nebbia, quella della memoria.E solo scivolando con fiduciosa remissività in quella zona del mio cuore avrei portato alla superficie l’essenza del segreto sommerso.
Al bancone d’ingresso un distinto signore, in impeccabile livrea nera, dall’aria stanca e cerea, mi staccò un biglietto senza proferire parola.
M’affrettai a sistemare il cellulare in modalità vibrazione.Immerso in un favoloso silenzio, mi accinsi a visitare la mostra.
C’era qualcosa di magico e religioso nell’esperienza che stavo compiendo: lo avvertii nitidamente fin dalla prima sala, quando la serie di dipinti, con le loro tinte precise, coi loro colori vivi e corposi, mi comunicò una specie di ebbrezza, un autentico capogiro.
Affiorava da subito la fedeltà descrittiva del tratto pittorico, l’esattezza dei profili, soprattutto nel definire i particolari, eppure calati in un contesto improbabile: un guanto di pelle inchiodato su una stravagante parete di legno; rocchetti di filo dalle seriche lucentezze in bilico, in incerti ambigui equilibri su un ripiano; una spola di lana bianca appoggiata su una scala verde... e profili indiscreti e sfuggenti, sbilenchi, del castello rosso, con quelle torri erette e quelle verticali vertiginose che s’intrufolavano, di soppiatto, attraverso un angolo della finestra... e poi ancora manichini anonimi, senza volto e senza arti, solitari, disumanizzati, gravidi di un angoscioso mistero.
Attraversavo le sale come sospeso da terra, librato in aria, irretito da un vago presentimento.
Qualcosa di definitivo stava per accadere.

Sarto di me stesso (di Luciano Poli)

Presenza asciutta tu 

come una lama abituata 

a slabbrare antiche ferite. 

E io lì, punta contro punta, 

fra i due aghi,

le dita e i denti,

la lingua, l’occhio e la cruna,

preparano e puntano il filo 

per rattoppare quell'antica 

crepa infantile.

Luciano Poli
(Facebook QUI)




giovedì 22 agosto 2019

Prima che sia inverno (Video studenti Istituto Alberghetti di Imola)

Esperienza cinematografica con i giovani dell' Istituto Alberghetti di Imola
Vorrei ricordare e segnalare una magnifica esperienza realizzata coi miei studenti, qualche anno fa: un cortometraggio che potrebbe sembrare amatoriale, ma che per impegno, serietà, dedizione, eleganza, professionalità mi sembra tutt'altro che amatoriale. In barba a chi sostiene che i giovani di oggi hanno poco entusiasmo e talento.

Andrea Pagani
(Web site QUI)


mercoledì 21 agosto 2019

Un amore (di Luciano Poli)

amorevolmente strusci 
la sua guancia di latte
non c'è baratto che tenga
l'acerbo e il maturo
il morbido e il duro che sia
vestito di niente, col tempo
aspetti che cresca, che muti







Luciano Poli
(Facebook QUI)

lunedì 19 agosto 2019

MARIU’ (di Elisabetta Turricchia)

Foto d'epoca di Piazza matteotti Imola (fonte foto QUI

Quando la città non era ancora una città, ma si poteva ancora chiamare paese, quando ci si conosceva tutti e i vicini di casa erano amici con i quali trascorrere le serate estive nei cortili per parlare del più e del meno, a dir la verità erano più i meno che i più, quelli erano gli anni di un ritrovato benessere, lo spettro della guerra era stato sepolto sotto ad un cumulo di macerie. 
Si godeva di quello che si aveva, di quello che ci dava la madre terra e si ringraziava Dio dell’aria che si respirava. Erano bei tempi quelli! 
Le strade erano semi-deserte e si poteva girare tranquillamente in bicicletta senza rischiare di finire sotto le ruote di qualche automobilista imprudente. 
Sedevo sulla sella della mia “Graziella” rosa confetto e gironzolavo per le vie del paese con la gonna scozzese che svolazzava leggera sospinta dal vento. 
La domenica pomeriggio era il momento più atteso della settimana, dopo aver pranzato mi appostavo dietro al vetro della finestra della cucina, scostavo nervosamente la tendina di pizzo bianco, nell’attesa della mia amica Patrizia, la quale arrivava spingendo faticosamente i pedali della sua bicicletta bianca sgangherata con i copertoni perennemente sgonfi. 
Sorpassandoci a vicenda raggiungevamo una stradina lastricata di sanpietrini che fiancheggiava la piazza centrale per andare a goderci la proiezione del film pomeridiana. 
Ma il momento goliardico era soffermarmi davanti alla bancarella vicino al cinema ricca di ogni goloseria. 
L’omone che vendeva noccioline, praline, cioccolatini, caramelle e patatine sedeva sopra uno sgabello di legno scalfito, indossava sempre un foulard rosso in qualsiasi stagione, sia che ci fosse una nebbia che si tagliava a fette oppure un caldo che scioglieva l’asfalto. 
Tutti lo chiamavano MARIU’. 
Mia madre mi dava i soldi contati per il biglietto del cinema, così strisciavo piagnucolando dalla nonna, la quale avendo un cuore di nonna , mi allungava qualche monetina. 
Essendo un’inguaribile golosona rimanevo incantata davanti a tutte quelle leccornie senza decidermi cosa comprare. Facevo tintinnare le monete nel palmo della mano, nell’eterna indecisione tra noccioline caramellate, bastoncini di liquirizia, lecca-lecca rossi o arancioni, sicuramente strapieni di coloranti oppure bacche di carrube, che in genere sono leccornie per i cavalli, ma piacevano molto anche a me. 
Quell’omone grande e grosso attendeva paziente che prendessi una decisione, poi insieme al sacchetto di caramelle sfoderava anche un sorriso bonario. 
Pensavo che Mariù dentro al suo pancione contenesse un animo gentile e dolce come i prodotti che vendeva. 
Ma purtroppo una brutta domenica quell’omone con il suo carrettino non l’ho più trovato nel solito posto, quel giorno mi sono dovuta accontentare di un misero sacchetto di mentine gialle e bianche comprate al bar in fondo alla strada. 
Il tempo passa inesorabile e il paese di un tempo si è trasformato in una vivace cittadina. 
Crescendo ho smesso di mangiare caramelle e Patrizia la domenica pomeriggio non passa più a prendermi con la bicicletta sgangherata, ma con una Punto rossa fiammante, però siamo ancora appassionate di cinema e continuiamo ad andare a vedere le ultime pellicole. 
Un anno fa verso la fine di novembre, una domenica sera, all’uscita dal cinematografo siamo state sorprese da una nebbia fittissima. Patrizia guidando nel grigio assoluto ha perso l’orientamento e svoltando per una strada sconosciuta ci siamo ritrovate in un borgo piuttosto lontano dalla città. 
L’ora di cena era passata da un pezzo e il nostro stomaco brontolava rumorosamente quando un’insegna di una trattoria, malamente illuminata, ci è apparsa miracolosamente innanzi. 
“La Casa di Polly” era il tipico locale campagnolo arredato con i mobili della nonna, i tavoli abbelliti da classiche tovaglie di cotone a quadretti bianche e rossi. 
Odorava di casa. 
Il mio palato è stato soddisfatto da un piatto di tagliatelle al ragù che mi ha trascinato lontano nel tempo, quando la nonna tirava la sfoglia sul tagliere di legno e la cucina era invasa dall’intenso profumo del sugo che bolliva lentamente da ore. 
Stavo aspettando il conto, quando il mio sguardo si è perso dietro alla vetrata che divideva la sala dalla cucina e ho intravisto la sagoma di un omone grande e grosso con un brillante foulard rosso al collo. 

sabato 17 agosto 2019

Mille papaveri rossi

Il fatto è che loro tornano
Nonostante la cattiveria umana
Testardi, in punta di petali
Non certo per noi
Ogni anno, loro ritornano.
Luciano Poli 
(Facebook QUI)



SOTTO ZERO (poesie inedite di Walter Valeri)

I

Sotto zero
nell'acqua del canale poi 
nello stridio della chiglia 
l'urlo del legno che salpa
affonda senza voce
in mare: udimmo scricchiolare il cielo 
vedemmo nel miele dell'amore il male.

II
Neve d'aprile 
sul rosso della rosa 
i brividi dell'acqua

III
Oscilla su tacchi a spillo
il soffio l'onda
rosa fra scale e corridoi
con più che nuda
la carne l'anca
dell'infermiera in passerella.

IV

Occhiate da brivido
che dispensano profumo e polline
di rimmel nel corridoio d'ospedale
di pazienti inquieti
posseduti
dal desiderio di cambiare letto.

V
Chiedi a me
che non ho più labbra
né parole
cos'e' l'amore?

Ma io non so, non so amica mia
Così vanno le cose le ore
in queste stanze prese d'assalto
da gambe sempre di corsa
e una smodata
infelicità.

Imola, 2019
Walter Valeri, MFA, A.R.T./MAXT Institute at Harvard University, 2000. Ha insegnato per sette anni alla Harvard University e MIT, lingua e letteratura drammatica italiana. Attualmente, con l'incarico di Professore Associato, insegna vari corsi al Boston Conservatory at Berklee. Nel 1981 con Canzone dell’amante infelice (Guanda) ha vinto il premio internazionale di poesia Mondello. E' stato assistente personale del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame per oltre quindici anni. Ha scritto, tradotto e pubblicato vari saggi, libri di versi, testi teatrali, articoli e recensioni, fra cui Franca Rame: a woman on stage (Perdue University Press,1999), An Actor's Theatre (Southern Illinois University Press 2000), Donna de Paradiso (Editoria & Spettacolo 2006), Dario Fo's Theatre: The Role of Humor in Learning Italian Language and Culture (Yale University Press, 2008). Ultimi versi pubblicati Visioni in Punto di Morte (Nuovi Argomenti, 54, 2011), Another Ocean (Sparrow Press, 2012), Ora settima (ristampa, Edizioni “Il Ponte Vecchio”, 2014), Biting The Sun (Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu libri, 2015), Parodie del buio, inediti (La macchina sognate, 2016). Parodie del buio (Edizioni “Il Ponte Vechio”, 2017). Dal 2016 dirige il Festival Internazionale di Poesia, Musica & Arti visive L'Orecchio di Dioniso prodotto dagli Assessorati alla Cultura della Città di Forlì e Cesenatico, in collaborazione con l' APT Servizi Regione Emilia Romagna. Collabora attivamente alle riviste internazionali Sipario, Teatri delle diversità, lamacchinasognante.com. In qualità di Drammaturgo fa parte della Direzione del prestigioso Poets’ Theatre di Cambridge, USA. 


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