mercoledì 5 gennaio 2022

Riaperture (di Andrea Ricci)

 

La vita è un fiume in piena che scorre in equilibrio tra gioie e dolori, dove spesso ad ogni periodo di spensieratezza, ne consegue uno di difficoltà. Ma la pandemia è stata ed è tutt’ora più di ciò; il Covid ha allontanato ognuno di noi da una quotidianità che ritenevamo intoccabile e che mai ci saremmo aspettati potesse mutare in maniera così prepotente. Sono svariate le sensazioni che abbiamo provato in questi ultimi tempi, ma più di questo, è interessante riflettere su quello che, in futuro o nell’immediato presente, trarremo da questo evento. Quale saranno le nostre reazioni all’avvicinarsi di una nuova normalità? Per rispondere a questo quesito credo sia appropriato concentrarsi sui piccoli particolari, partendo dalle basi e dalle cose all’apparenza più consuete nelle nostre giornate. A tal riguardo, ritengo calzante un episodio risalente alle prime riaperture.

Era un pomeriggio soleggiato come tanti altri. La stagione invernale era ormai agli sgoccioli e, con lei, si allontanavano mesi d’isolamento casalingo. Quel giorno, per la prima volta dopo mesi, decisi di fare una camminata nel centro cittadino. L’obiettivo era tra i più banali, ovvero quello di comprare qualche pizzetta da mangiare come aperitivo, poco più tardi. Così, presi la macchina, in compagnia della mia fidanzata, e guidai fino ai pressi del centro. Parcheggiai e ci incamminammo per i vicoli imolesi. Mi guardai intorno, come se fossi un turista attento nel cogliere ogni minimo dettaglio della città. Ben presto un senso di disagio iniziò ad impossessarsi di me, un nodo mi si strinse in gola e il mio cuore iniziò a battere ad una maggiore frequenza. Mi sentii vulnerabile e strinsi più forte la mano della mia morosa. Non mi fermai. Non volevo far notare quel mio momento di agorafobica insicurezza. Comprammo le pizzette e ci sedemmo su una panchina vicina al negozio. Bastò uno sguardo con la mia fidanzata per capire che quel momento di debolezza non colse solo me. Presi tre lunghi respiri, quasi a voler liberarmi dell’ostilità della situazione. L’angoscia lasciò progressivamente spazio ad una rinnovata serenità. I muscoli del collo si rilassarono nuovamente ed un brivido attraversò la mia schiena. Il senso di smarrimento tutt’a un tratto sparì e mi resi conto dell’importanza di quella semplice passeggiata. Ci incamminammo nuovamente e, con gli occhi sorridenti, rientrammo a casa.

Così, ritornando alla domanda iniziale, credo che si ponga davanti ad ognuno di noi una dicotomia. A me piace pensare alla pandemia come ad un momento storico dal quale imparare qualcosa e non solo unicamente ad un ostacolo occorso al nostro destino. Credo che il più grande insegnamento di questo periodo sia quindi quello di non dare per scontate le piccole gioie quotidiane, delle quali le nostre giornate son colme e le quali abbiamo la fortuna di condividere con qualcuno al nostro fianco. La camminata in centro con la persona che si ama ne è un esempio efficace, ma ne si possono individuare allo stesso modo tanti altri: un caffè al bar con un collega, un pomeriggio al parco con gli amici, un pranzo di festa con la nostra famiglia. Tutti quei momenti che rendono le nostre giornate speciali, quasi senza accorgercene; quelle occasioni che sono il pane della nostra vita, che dopo tanto tempo ci lasciano inizialmente impietriti, ma che poi ci sciolgono in una radiosa felicità. Dall’altra parte, molti torneranno ad avere la vita di sempre, dimenticando questo periodo o ricordandolo come una lunga agonia, senza trarne alcun significato.

È innegabile, la pandemia lascerà il segno. Sta ad ognuno di noi, però, decidere quale.

 Andrea Ricci

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