lunedì 25 novembre 2019

CAMBIO DI FINALE (di Aldina Sommariva)

Era stata, la mia, fino a quel punto,
tra ansie e corse e impegni di lavoro
quel che si può chiamare una giornata
campale. Poi di colpo ci sei stato.
Abbiamo spalancato le finestre
e la giornata si è fatta campestre.
E' quasi un "divertissement", in quanto si basa su un cambio di finale di una parola, tipico di alcuni giochi enigmistici. Ma il titolo CAMBIO DI FINALE allude anche a quanto può essere sorprendente l'improvviso "capovolgersi" di una giornata che, dopo la solita routine di impegni e stress tipici della vita lavorativa, proprio a sera regala una dimensione completamente nuova, di festa, e che ti fa sentire in mezzo alla natura anche se sei sempre in città: la scoperta dell'altro si fa sagra, allegria di borgo in cui non ci si sente più estranei ma parte di un tutto.






giovedì 31 ottobre 2019

Halloween (Canto della strega) di Aldina Sommariva

Serva di due padroni
qui in piedi sulla soglia
non posso essere. 
Il male e il bene mi strattonano ed ignoro 
quale sia l'uno, quale l'altro. 
E oggi è un giorno d'oro
in attesa di una notte di Druidi,
notte di fuochi magica e nebbiosa.
Sono una strega, sai, ed è proprio questa
la mia celtica festa, amore mio.
Sono una rosa d'Irlanda. 
Se son serva di Dio o di Satana ancora non so dire.
Sento in me forze estreme ed un ardore mai osato prima. 
Ed è Saman signore dei morti che mi chiama, 
oppur Pomona dalle fruttate labbra? 
Ed è l'amore quello che ora mi spezza le ginocchia,
o una forza più forte mi è padrona?

Aldina Sommariva

Halloween. E' il nome dato alla notte del 31 Ottobre, che precede la festa cristiana di Ognissanti. Si pensa che le usanze legate ad Halloween abbiano avuto origine fra gli antichi Druidi, che credevano che in quella sera Saman, signore della morte, evocasse in massa gli spiriti del male. L'usanza dei Druidi era quella di accendere grandi fuochi la sera di Halloween, apparentemente allo scopo di tener lontani questi spiriti. Tra gli antichi Celti, Halloween cadeva l'ultima notte dell'anno, ed era considerato un momento propizio per poter prevedere il futuro. I Celti credevano anche che gli spiriti dei morti rivisitassero in quella notte i loro luoghi natali. Dopo che i Romani ebbero conquistata la Bretagna, aggiunsero ad Halloween alcune caratteristichedella festa che si teneva a Roma il primo di Novembre, in onore di Pomona, la dea delle frutta. La tradizione celtica di accendere i fuochi ad Halloween sopravvive tuttora in Scozia e in Galles, dove il culto dei fantasmi e delle streghe è ancora molto vivo. Tracce della festa romana di Pomona sopravvivono nelle usanze sia degli Stati Uniti sia della Gran Bretagna. In questi paesi, durante la festa di Halloween, si svolgono giochi con la frutta, ed è proprio così che è nata la tradizione di svuotare una zucca, accendendovi dentro una candela e trasformandola in una faccia grottesca. 
( Letto su un cartellone appeso in un fast-food il giorno di Halloween )
Da "METAMORFOSI DI UN DIVERTIMENTO" 
31 Ottobre 1997

martedì 22 ottobre 2019

La magia della affabulazione (di Andrea Pagani)


Leggere Nero d’inferno (ultimo romanzo di Matteo Cavezzali, Mondadori, 2019) è un po’ come assistere ad un film dei fratelli Cohen.
Sei catturato in un’atmosfera di potente affabulazione, magnetica, irresistibile, dentro un racconto che ti incastra e ti coinvolge, nel senso letterale della parola, cioè ti interpella, parla proprio a te, lettore, ti rende complice, come nelle più antiche narrazioni orali, davanti ad un camino crepitante.
E allo stesso tempo, accanto alla più antica tradizione narrativa, cioè quella della oralità, ti trovi alle prese con un romanzo di straordinaria modernità.
Senza dubbio, il segreto di tale seduzione narrativa, proprio come certi film dei Cohen, consiste nel gioco corale che l’autore riesce a realizzare, nell’umanità dei personaggi che riesce a presentarci, nella molteplicità dei piani di scrittura che ci vengono offerti.
Si parte, in effetti, da un plot di grande forza evocativa, per poi diramare una ricca biforcazione di punti di vista.
Siamo immersi nella storia vera di Mario Buda (altrimenti noto come Mike Boda), nato il 13 ottobre 1884 a Savignano sul Rubicone, sbarcato in America, a Ellis Island, nel 1907 con il sogno di aprire un negozio di scarpe (da cui il titolo del libro, che cercheremo di spiegare nei suoi sottili aspetti simbolici), ma ben presto alle prese con la cruda realtà della civiltà capitalista, che lo porta di giorno a scontrarsi col duro impietoso lavoro di fabbrica e di notte a commerciare illegalmente whiskey nella New York del proibizionismo, finché si avvicina alle idee del socialismo, conosce l’anarchico Luigi Galleani, si ribella all’inferno e alle ingiustizie subite dagli operai, e arriva a compiere il gesto per cui è passato alla storia, l’atto di terrorismo più tremendo che fino ad allora gli Stati Uniti avessero subito: il 16 settembre 1920 Mike Boda lascia un carretto all’incrocio tra Wall Strett e Broad Street, stipato di dinamite e pezzi di metallo attaccati a un timer.

Crocevia (di Giorgia Satta)

Il sign. Luciano Poli, socio della nostra Associazione ha suggerito una poesia.

L'ho vista a un crocevia
l'anima mia camminare a passi incerti
fermarsi a prender fiato, guardando
indietro per toccare l'ombra.
Quello è l'istante della scelta del passo,
il momento che il sasso è d'inciampo
al cammino, il pericolo vero
per la resa del cuore,
e la cieca obbedienza al destino.
La spinta per l'oltre può essere il vento,
la sua direzione, il sentire da dentro
che non è compiuta la fine del canto
e che il pianto
è soltanto una parte del tutto.
Giorgia Satta (Facebook QUI)

Fonte foto: Nicoletta Cipelletti (Facebook QUI)
Giorgia Satta è sarda ma vive da molti anni in provincia di Bologna. Arrivata negli anni settanta per lavoro non è più andata via. Il legame viscerale con la sua terra non si è mai spezzato, forse da questo è nato l'amore per la poesia. Scrive infatti in maniera estemporanea come i poeti sardi di strada, che componevano al momento, nelle piazze, storie di vita in poesia su richiesta dei presenti e su temi dettati dal momento. Il tema diventa quello che le suggerisce un'immagine, una situazione, un'emozione improvvisa. In oltre cento poesie, Giorgia Satta fotografa l'esistenza e ne celebra le fatiche con uno slancio genuino. La sua è una profonda accettazione dell'umano, un "si" entusiasta alla quotidianità del vivere, una costante e inarrestabile ricerca del bene e del bello.

sabato 5 ottobre 2019

L’ULTIMO PENSIERO (di Aldina Sommariva)

Solo ogni tanto
Lo lascio andare come un moscerino.
Libero, non visto, inoffensivo,
si posa sulla testa di chi amo
e non chiamo.
Controlla che ci siano
che si muovano o dormano tranquilli
tutti
avvolti nelle loro vite assenti
mentre io mi rifiuto
di entrarvi, di domandare aiuto
e li amo da sola, da lontano.
Poi chiudo gli occhi
E ho solo la mia mano.
Aldina Sommariva

Da “L’ESTATE MUTA” 
Ottobre 2019

Aldina Sommariva è di origine milanese. Ha iniziato a scrivere in versi all’inizio degli anni ’90, dopo aver abitato in varie città sia in Italia sia all’estero. Da sempre affascinata dalla mitologia classica, è stata definita da Giuseppe Conte una poetessa mito-modernista, pur non essendosi mai sentita inquadrata in una particolare corrente. A cavallo tra la fine del ‘900 e l’inizio di questo millennio ha condotto insieme col cantautore e poeta Bruno Lauzi diversi recital di poesia. Suoi componimenti sono stati pubblicati su varie riviste, tra cui “Specchio” de La stampa e “Poesia” di Crocetti. Nel 2001 è stata a lei dedicata un’intera puntata della trasmissione radiofonica “Cortometraggi” (curata da Roberto Baracchini) sui poeti italiani contemporanei. Nel 2017 ha pubblicato per La Mandragora la raccolta “Poesie del malamore”. Attualmente risiede a Imola, dove ha tenuto alcuni corsi laboratoriali sulla scrittura creativa e sulle sue tecniche poetiche.

giovedì 3 ottobre 2019

Ancora (di Aldina Sommariva)

La poesia è spesso una faccenda notturna, di bruciori di stomaco che impediscono di dormire e di momentaneo deragliamento dai propri equilibri, almeno apparenti.
Aldina Sommariva 

Ancora più che in altri, in tre momenti
vorrei che ancora calda mi trovassi,
e ancora calda ti vorrei ospitare,
vorrei che nel mio sangue ti bruciassi.
Ti vorrei ancora calda in riva al mare
dopo essermi bagnata dentro al sole.
E ancora calda dopo un lungo sonno,
come uscita da un ventre che ricrea,
portata a te da un'umida marea
languida di una tiepida bonaccia.
E infine ancora calda delle braccia
di un altro, amore mio, ti vorrei amare.

Da "QUI DOVE PARLA SOLAMENTE IL MARE" 
Giugno 1998

Fonte foto: QUI
Aldina Sommariva è di origine milanese. Ha iniziato a scrivere in versi all’inizio degli anni ’90, dopo aver abitato in varie città sia in Italia sia all’estero. Da sempre affascinata dalla mitologia classica, è stata definita da Giuseppe Conte una poetessa mito-modernista, pur non essendosi mai sentita inquadrata in una particolare corrente. A cavallo tra la fine del ‘900 e l’inizio di questo millennio ha condotto insieme col cantautore e poeta Bruno Lauzi diversi recital di poesia. Suoi componimenti sono stati pubblicati su varie riviste, tra cui “Specchio” de La stampa e “Poesia” di Crocetti. Nel 2001 è stata a lei dedicata un’intera puntata della trasmissione radiofonica “Cortometraggi” (curata da Roberto Baracchini) sui poeti italiani contemporanei. Nel 2017 ha pubblicato per La Mandragora la raccolta “Poesie del malamore”. Attualmente risiede a Imola, dove ha tenuto alcuni corsi laboratoriali sulla scrittura creativa e sulle sue tecniche poetiche.

venerdì 23 agosto 2019

L’enigma dell’ora (di Andrea Pagani)

en mémoire de
Gérard de Nerval
Ténébreux, Inconsolé, Visionnaire

L’enigma dell’ora
di Andrea Pagani
Ci misi poco a cambiare idea.
Bastò, probabilmente, la vista, all’orizzonte, del profilo ambiguo e inafferrabile del castello.
Il vapore denso, lattescente della nebbia.
La sera era grigia e trasognata, come lo stato d’animo che mi visitava, una via di mezzo fra la malinconia e una strana improbabile apprensione.Per questo avevo scelto, contrariamente ad ogni previsione, di uscire, di gettarmi nella serata brumosa, di fare una passeggiata in mezzo alla foschia.
Il corso era deserto, i ciottoli scivolosi d’umidità.
La nebbia avvolgeva ogni cosa.
Una caligine grigia conferiva all’atmosfera un senso d’incredulo smarrimento.
Le torri del castello sbucavano fuori dalle coltri di nebbia come gli alberi di prua e di poppa di un antico veliero rinascimentale, dove la guardia dei leoni era il gonfio ed eretto pennone.
Mi tirai su il bavero del cappotto.
Fui visitato da un brivido di freddo, lungo la schiena, e orientandomi a fatica, guidato dall’istinto, mi diressi verso l’entrata di un palazzo.Superai la soglia, lasciando dietro di me il viluppo incongruo delle incertezze.
Mi agitava un umore sommesso, che sembrava appartenere ad un mondo arcaico, primitivo, avvolto in un’altra nebbia, quella della memoria.E solo scivolando con fiduciosa remissività in quella zona del mio cuore avrei portato alla superficie l’essenza del segreto sommerso.
Al bancone d’ingresso un distinto signore, in impeccabile livrea nera, dall’aria stanca e cerea, mi staccò un biglietto senza proferire parola.
M’affrettai a sistemare il cellulare in modalità vibrazione.Immerso in un favoloso silenzio, mi accinsi a visitare la mostra.
C’era qualcosa di magico e religioso nell’esperienza che stavo compiendo: lo avvertii nitidamente fin dalla prima sala, quando la serie di dipinti, con le loro tinte precise, coi loro colori vivi e corposi, mi comunicò una specie di ebbrezza, un autentico capogiro.
Affiorava da subito la fedeltà descrittiva del tratto pittorico, l’esattezza dei profili, soprattutto nel definire i particolari, eppure calati in un contesto improbabile: un guanto di pelle inchiodato su una stravagante parete di legno; rocchetti di filo dalle seriche lucentezze in bilico, in incerti ambigui equilibri su un ripiano; una spola di lana bianca appoggiata su una scala verde... e profili indiscreti e sfuggenti, sbilenchi, del castello rosso, con quelle torri erette e quelle verticali vertiginose che s’intrufolavano, di soppiatto, attraverso un angolo della finestra... e poi ancora manichini anonimi, senza volto e senza arti, solitari, disumanizzati, gravidi di un angoscioso mistero.
Attraversavo le sale come sospeso da terra, librato in aria, irretito da un vago presentimento.
Qualcosa di definitivo stava per accadere.

Sarto di me stesso (di Luciano Poli)

Presenza asciutta tu 

come una lama abituata 

a slabbrare antiche ferite. 

E io lì, punta contro punta, 

fra i due aghi,

le dita e i denti,

la lingua, l’occhio e la cruna,

preparano e puntano il filo 

per rattoppare quell'antica 

crepa infantile.

Luciano Poli
(Facebook QUI)




giovedì 22 agosto 2019

Prima che sia inverno (Video studenti Istituto Alberghetti di Imola)

Esperienza cinematografica con i giovani dell' Istituto Alberghetti di Imola
Vorrei ricordare e segnalare una magnifica esperienza realizzata coi miei studenti, qualche anno fa: un cortometraggio che potrebbe sembrare amatoriale, ma che per impegno, serietà, dedizione, eleganza, professionalità mi sembra tutt'altro che amatoriale. In barba a chi sostiene che i giovani di oggi hanno poco entusiasmo e talento.

Andrea Pagani
(Web site QUI)


mercoledì 21 agosto 2019

Un amore (di Luciano Poli)

amorevolmente strusci 
la sua guancia di latte
non c'è baratto che tenga
l'acerbo e il maturo
il morbido e il duro che sia
vestito di niente, col tempo
aspetti che cresca, che muti







Luciano Poli
(Facebook QUI)

lunedì 19 agosto 2019

MARIU’ (di Elisabetta Turricchia)

Foto d'epoca di Piazza matteotti Imola (fonte foto QUI

Quando la città non era ancora una città, ma si poteva ancora chiamare paese, quando ci si conosceva tutti e i vicini di casa erano amici con i quali trascorrere le serate estive nei cortili per parlare del più e del meno, a dir la verità erano più i meno che i più, quelli erano gli anni di un ritrovato benessere, lo spettro della guerra era stato sepolto sotto ad un cumulo di macerie. 
Si godeva di quello che si aveva, di quello che ci dava la madre terra e si ringraziava Dio dell’aria che si respirava. Erano bei tempi quelli! 
Le strade erano semi-deserte e si poteva girare tranquillamente in bicicletta senza rischiare di finire sotto le ruote di qualche automobilista imprudente. 
Sedevo sulla sella della mia “Graziella” rosa confetto e gironzolavo per le vie del paese con la gonna scozzese che svolazzava leggera sospinta dal vento. 
La domenica pomeriggio era il momento più atteso della settimana, dopo aver pranzato mi appostavo dietro al vetro della finestra della cucina, scostavo nervosamente la tendina di pizzo bianco, nell’attesa della mia amica Patrizia, la quale arrivava spingendo faticosamente i pedali della sua bicicletta bianca sgangherata con i copertoni perennemente sgonfi. 
Sorpassandoci a vicenda raggiungevamo una stradina lastricata di sanpietrini che fiancheggiava la piazza centrale per andare a goderci la proiezione del film pomeridiana. 
Ma il momento goliardico era soffermarmi davanti alla bancarella vicino al cinema ricca di ogni goloseria. 
L’omone che vendeva noccioline, praline, cioccolatini, caramelle e patatine sedeva sopra uno sgabello di legno scalfito, indossava sempre un foulard rosso in qualsiasi stagione, sia che ci fosse una nebbia che si tagliava a fette oppure un caldo che scioglieva l’asfalto. 
Tutti lo chiamavano MARIU’. 
Mia madre mi dava i soldi contati per il biglietto del cinema, così strisciavo piagnucolando dalla nonna, la quale avendo un cuore di nonna , mi allungava qualche monetina. 
Essendo un’inguaribile golosona rimanevo incantata davanti a tutte quelle leccornie senza decidermi cosa comprare. Facevo tintinnare le monete nel palmo della mano, nell’eterna indecisione tra noccioline caramellate, bastoncini di liquirizia, lecca-lecca rossi o arancioni, sicuramente strapieni di coloranti oppure bacche di carrube, che in genere sono leccornie per i cavalli, ma piacevano molto anche a me. 
Quell’omone grande e grosso attendeva paziente che prendessi una decisione, poi insieme al sacchetto di caramelle sfoderava anche un sorriso bonario. 
Pensavo che Mariù dentro al suo pancione contenesse un animo gentile e dolce come i prodotti che vendeva. 
Ma purtroppo una brutta domenica quell’omone con il suo carrettino non l’ho più trovato nel solito posto, quel giorno mi sono dovuta accontentare di un misero sacchetto di mentine gialle e bianche comprate al bar in fondo alla strada. 
Il tempo passa inesorabile e il paese di un tempo si è trasformato in una vivace cittadina. 
Crescendo ho smesso di mangiare caramelle e Patrizia la domenica pomeriggio non passa più a prendermi con la bicicletta sgangherata, ma con una Punto rossa fiammante, però siamo ancora appassionate di cinema e continuiamo ad andare a vedere le ultime pellicole. 
Un anno fa verso la fine di novembre, una domenica sera, all’uscita dal cinematografo siamo state sorprese da una nebbia fittissima. Patrizia guidando nel grigio assoluto ha perso l’orientamento e svoltando per una strada sconosciuta ci siamo ritrovate in un borgo piuttosto lontano dalla città. 
L’ora di cena era passata da un pezzo e il nostro stomaco brontolava rumorosamente quando un’insegna di una trattoria, malamente illuminata, ci è apparsa miracolosamente innanzi. 
“La Casa di Polly” era il tipico locale campagnolo arredato con i mobili della nonna, i tavoli abbelliti da classiche tovaglie di cotone a quadretti bianche e rossi. 
Odorava di casa. 
Il mio palato è stato soddisfatto da un piatto di tagliatelle al ragù che mi ha trascinato lontano nel tempo, quando la nonna tirava la sfoglia sul tagliere di legno e la cucina era invasa dall’intenso profumo del sugo che bolliva lentamente da ore. 
Stavo aspettando il conto, quando il mio sguardo si è perso dietro alla vetrata che divideva la sala dalla cucina e ho intravisto la sagoma di un omone grande e grosso con un brillante foulard rosso al collo. 

sabato 17 agosto 2019

Mille papaveri rossi

Il fatto è che loro tornano
Nonostante la cattiveria umana
Testardi, in punta di petali
Non certo per noi
Ogni anno, loro ritornano.
Luciano Poli 
(Facebook QUI)



SOTTO ZERO (poesie inedite di Walter Valeri)

I

Sotto zero
nell'acqua del canale poi 
nello stridio della chiglia 
l'urlo del legno che salpa
affonda senza voce
in mare: udimmo scricchiolare il cielo 
vedemmo nel miele dell'amore il male.

II
Neve d'aprile 
sul rosso della rosa 
i brividi dell'acqua

III
Oscilla su tacchi a spillo
il soffio l'onda
rosa fra scale e corridoi
con più che nuda
la carne l'anca
dell'infermiera in passerella.

IV

Occhiate da brivido
che dispensano profumo e polline
di rimmel nel corridoio d'ospedale
di pazienti inquieti
posseduti
dal desiderio di cambiare letto.

V
Chiedi a me
che non ho più labbra
né parole
cos'e' l'amore?

Ma io non so, non so amica mia
Così vanno le cose le ore
in queste stanze prese d'assalto
da gambe sempre di corsa
e una smodata
infelicità.

Imola, 2019
Walter Valeri, MFA, A.R.T./MAXT Institute at Harvard University, 2000. Ha insegnato per sette anni alla Harvard University e MIT, lingua e letteratura drammatica italiana. Attualmente, con l'incarico di Professore Associato, insegna vari corsi al Boston Conservatory at Berklee. Nel 1981 con Canzone dell’amante infelice (Guanda) ha vinto il premio internazionale di poesia Mondello. E' stato assistente personale del premio Nobel Dario Fo e Franca Rame per oltre quindici anni. Ha scritto, tradotto e pubblicato vari saggi, libri di versi, testi teatrali, articoli e recensioni, fra cui Franca Rame: a woman on stage (Perdue University Press,1999), An Actor's Theatre (Southern Illinois University Press 2000), Donna de Paradiso (Editoria & Spettacolo 2006), Dario Fo's Theatre: The Role of Humor in Learning Italian Language and Culture (Yale University Press, 2008). Ultimi versi pubblicati Visioni in Punto di Morte (Nuovi Argomenti, 54, 2011), Another Ocean (Sparrow Press, 2012), Ora settima (ristampa, Edizioni “Il Ponte Vecchio”, 2014), Biting The Sun (Boston Haiku Society, 2014), Haiku: Il mio nome/My name (qudu libri, 2015), Parodie del buio, inediti (La macchina sognate, 2016). Parodie del buio (Edizioni “Il Ponte Vechio”, 2017). Dal 2016 dirige il Festival Internazionale di Poesia, Musica & Arti visive L'Orecchio di Dioniso prodotto dagli Assessorati alla Cultura della Città di Forlì e Cesenatico, in collaborazione con l' APT Servizi Regione Emilia Romagna. Collabora attivamente alle riviste internazionali Sipario, Teatri delle diversità, lamacchinasognante.com. In qualità di Drammaturgo fa parte della Direzione del prestigioso Poets’ Theatre di Cambridge, USA. 


mercoledì 5 giugno 2019

Il muscolo di porcellana

Ho negli occhi la purezza e senza occhiali la capacita di osservare l'intensità di una lacrima.

Stipati sono i sentimenti in un muscolo di porcellana pregiata.

Crepe di vita li fanno migrare.

Rabbia o amore.

Tenerezza o dolore lascio che si liberino dal cuore.



venerdì 4 gennaio 2019

Danza con me

Anno di promesse senza giorni depressi e parole dimesse.
Sei falso e arrogante come un guerriero superbo con la spada puntata al futuro.
Mi sento senza tempo mentre nasci.
Danzo sui passi dell'illusione
mi ubriaco di me in calici di universo.
Danza con me nel ballo dell'incertezza
la sentenza verrà letta alla fine.
Intanto danza.

Maggie



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