lunedì 27 aprile 2020

“Ciao Linda” (di Ivan Crescini)

Una caduta libera

verso un fondo di

purissimo cristallo,

indistruttibile.

Ma per ognuno

un’altezza diversa.
Ivan Crescini

Fonte foto: QUI

domenica 26 aprile 2020

FAMMI ENTRARE (di Luciano Poli)

Melagrana o pesca di collina
Ecco, qui, dove la bocca va al miele
Pregano le tibie sul cemento
Umore di Ginestra e di sulla
Fammi entrare lì dove si nasce per morire.

Lupo
(Facebook QUI)

Vaso con fiori. 2020. Tecnica mista su faesite. Cent. 30x40


sabato 25 aprile 2020

“25 Aprile 2020” (di Ivan Crescini)

Quel nemico,
lo hanno sconfitto loro.
Le nostre ali,
le hanno costruite loro.
La speranza,
l’hanno coltivata loro .
Fatti di miseria,
poggiati alla fatica,
in un costante
profumo di morte.
Non si sono fermati,
mai.
Salutiamoli oggi,
vi prego.
Ricordiamoli oggi
che il nostro nemico
li ha battuti.
Nella paura,
nel silenzio,
senza addio.
Se ne sono andati.
I nostri nonni.

Ivan Crescini 

(a Tina 1921 – 2020)

Fonte foto: QUI


mercoledì 22 aprile 2020

“Uomo” (di Ivan Crescini)

Guardati li,
seduto sulla sedia
di una vita intera,
lo sguardo poggiato,
smarrito nel silenzio
di quell’alba novella,
l’anima stranita,
sbronza d’ogni verità.
Guardati li,
le dita convesse
da nervi scomposti
nel tempo bruciato,
in quelle tasche
un vecchio panno
di lino confuso,
come il tuo sorriso,
sincero,
unico.

(07/11/04)

Ivan Crescini



domenica 19 aprile 2020

Appunti in margine a Baricco (di Andrea Pagani)

Ho ascoltato l’intervista che Alessandro Baricco, come sempre acuto osservatore del nostro tempo, ha rilasciato alla trasmissione radiofonica di Marco Montemagno e ho rinvenuto alcuni interessanti spunti di riflessione, attorno alla nuova didattica, alle nuove forme d’interazione sociale, alla cultura e all’editoria del prima e dopo emergenza Coronavirus, ed in particolare:
1) una riflessione sul rapporto fra realtà e racconto della realtà, fra il fatto concreto e la narrazione di esso, il cosiddetto storytelling;

2) l’importanza di una forma di intelligenza, tipica della rivoluzione digitale, necessaria per uscire dall’emergenza, e fondata appunto su una capacità di reagire con rapidità, cambiando drasticamente traiettoria, ben diversa dal sistema di risoluzione dei problemi novecentesco;

3) la funzionalità della nuova didattica, leggera, pratica, libera, fondata sulla video lezione, a cui non si può tuttavia sovrapporre in modo ottuso il sistema della lezione frontale personale, con un assurdo copia-incolla, imponendo ad esempio 5 ore di video lezione agli studenti (e agli insegnanti), ma reimpostando un metodo più efficace ed intensivo di sviluppare gli argomenti;

4) il valore prezioso di questa fase di immobilismo, per certi aspetti più serena (una quotidianità deliziosa), in cui abbiamo la possibilità di vedere noi stessi dall’esterno, osservando ad esempio la follia della nostra agenda prima della quarantena e riflettendo sulla frenesia dei ritmi a cui eravamo sottoposti, sul cumulo e densità di impegni che eravamo abituati a reggere, sull’eccessiva attenzione che ponevamo su superficiali beni voluttuari, quindi la speranza di uscire con una umanità più adulta;

5) allo stesso tempo, una riflessione sulla sofferenza del momento, sulla fatica psichica e sulla difficoltà a trovare l’energia e l’ispirazione per scrivere, quasi ci fosse un ronzio fastidioso, una sorta di nebbia frustrante dovuta all’impressione di prigionia, che viene da fuori, che ti impedisce di trovare la concentrazione.

Non è detto che le idee di Baricco siano condivisibili.

Tuttavia, credo siano stimolanti. Ve le sottopongo.



martedì 14 aprile 2020

Interno notte (di Francesca Piana)

Vorrei percorrere
I tuoi passaggi segreti
Come un tempo
E valicare i tuoi picchi
Risolvere il tuo labirinto
Senza intaccarne il mistero
Se avessi saputo che il mio mango silvestre
Era un cuore di poeta
Non lo avresti colto
Perché è eretico e velenoso
Perché non ti liberi della mia fedeltà al tuo odore
Al tuo tono di voce
L' unione carnale con altri umani
Mi ha ricordato
Il regno senza terra
Di due anime destinate
A riconoscersi e a lasciarsi andare
( x g.)

Francesca Piana
(Facebook QUI)



lunedì 13 aprile 2020

… A RIVEDER LE STELLE (di Andrea Pagani)

Gentilmente, Andrea Pagani concede la condivisione di un suo post.

A riveder le stelle

Difficile porsi una domanda più oziosa e sterile, come quella d’interrogarsi se una grande pagina letteraria sia attuale o meno, pulsante e viva, capace di parlare agli uomini di oggi e forse di domani, per il semplice fatto, appunto, che un capolavoro non ha tempo, si muove oltre la storia, in una dimensione sontuosa e magica, metafisica, quasi religiosa: cioè, per il semplice fatto – ci suggeriva Leopardi nello Zibaldone – che c’è un punto in cui l’infinitesimo tocca l’infinito, indagare nella profondità dell’io corrisponde a visualizzare l’universale, investigare nell’interiorità dell’uomo equivale ad estendere il proprio sguardo verso il generale. Un po’ quello che, più prosaicamente, rilevava Roberto Benigni, durante le sue acclamate lezioni sulla Commedia, ricordandoci che Dante non è attuale, ma è più avanti di noi: dialoga oltre la storia, per ogni epoca.
Ed è proprio Dante, ancora una volta, a svelarci un singolare punto di vista sul presente, che gli occhi miopi dei contemporanei rischiano di non vedere. Stiamo parlando di un passaggio decisivo nel XXXIV canto dell’Inferno, quando Virgilio, non a caso simbolo della ragione umana, della saggezza, della guida lucida e rassicurante (benché in diversi passaggi del viaggio ultramondano lo sorprendiamo, anche lui, combattuto da sentimenti “umani”, come la rabbia, l’abbattimento, una specie d’innervosito disappunto), ormai al compimento dell’esperienza dei gironi Malebolge e dell’ultima zona della Giudecca (giacché «tutto avem veduto»), invita Dante a farsi coraggio, a riprendere il cammino «ascoso», ad avviarsi dentro la «natural burella», e quindi a sbucare nel Purgatorio, a «ritornar nel chiaro mondo», a riveder «le cose belle» e uscir a rimirar le stelle.
Cosa ci dice Dante in queste terzine esemplari?

Il tempo segue il ragno (di Maria Mancino)

I giorni senza più le ore
bruciano come stoppia
e si fanno cenere
ai piedi del tempo
È muto il tempo
è armato
ma non si schiera
e non si arrende
È un duello frontale
tra un orologio appeso al muro
e una ragnatela
Segue il silenzio l’illusione
e tiene in vita

Il tempo invece segue il ragno


Fonte foto: QUI


L'ultimo uomo sulla terra (di Tiziano Gioiellieri)

Foto realizzate a Imola Centro filigranate con data e ora.
Libro di riferimento: "Io sono leggenda" di  Richard Matheson




domenica 12 aprile 2020

Incarnare (di Francesca Piana)

Un amica di Associazione Ippogrifo Imola. Vivere la scrittura  ha inviato questo elaborato, contestualizzato al momento storico che stiamo vivendo, tutti, su questo pianeta. Siamo lieti di pubblicarlo.

INCARNARE

Ho preso carne su questo pianeta e ossa, tendini, viscere e sangue, ma non ero pronta per essere figlia; non ero pronta per la famiglia e i suoi reticoli di vene, gratitudine ed appartenenza.
Non sapevo dire grazie per un corpo che sente, gode, si stanca e soffre e per una moltitudine di precetti da seguire, di abitudini da scardinare, di padre nostro da mormorare, di madre cosmica da ricercare come oggetto smarrito in ogni ramo, vagina umida e crepa asciutta del terreno.
Ero pronta per canti salvifici salmodiati dagli Angeli, per crogiolarmi nella rotondità del pino, per annusare il muschio come fosse traccia del Nord, odore della mia misteriosa casa di radici.
Ero pronta per il vento, per l'acqua di ogni temperatura, ma non per marcare a fuoco la progenie futura con un'appartenenza che non sarà mai matura. 

Francesca Piana
(Facebook QUI)



Come nacque la musica del "Testamento di Tito" (di Michele Castellari)

Un giorno chiesi a mio zio Corrado come nacque la musica del Testamento di Tito, di Fabrizio De Andrè. Mi disse che De Andrè gli aveva chiesto una melodia a tre piani, che assecondasse l’incedere narrativo del testo. Al primo piano doveva stare, duro come una frustata, l’assunto del comandamento. Al secondo piano il suo blasfemo avveramento da parte di ogni società farisea, che si attuava ora nel rovesciarne il senso, ora nell’assecondarlo testualmente senza ironia e senza pietà. Al terzo piano la morale immorale di Tito, che in quella letteralità o in quell’antitesi sbugiardava l'ipocrisia degli uomini. Una ballata che in un pretesto di ripetitività mutasse in modo impercettibile e progressivo il suo refrain, alla fine sbalzando fuori l’ascoltatore dall’abitacolo delle sue certezze: come riposare su una barca dondolati placidamente dalle onde, e trovarsi d’improvviso a bagno con le ossa fradicie.

Anche nella storia della crocifissione raccontata nel vangelo di Luca, il piano resta tripartito, ma all’inverso rispetto alla canzone di Faber. Il primo ladrone vede la morte in arrivo, e questo acuisce la sua ferocia, senza riscatto e senza speranza. Il secondo ladrone riconosce lo scandalo della condanna a morte di Gesù, e gli chiede di ricordarsi di lui quando entrerà nel regno dei cieli. Gesù alla fine gli dice: tra poco sarai con me in paradiso.

In De Andrè la legge vuota di Dio, l’ingiustizia degli uomini, l’inconsolabile solitudine umana. In Luca la solitudine umana, l’ingiustizia degli uomini, la carezza salvifica di Dio. Nella canzone di De Andrè il ladrone impara l’amore quando non gli serve più a niente se non a illuminare retrospettivamente la miseria di prima, perché di là lo aspetta il buio. Nel vangelo di Luca l’apprendimento del dolore è ancora uno sguardo prospettico, il seme fertile di una fioritura prossima ventura che sta per disvelarsi in piena luce e verità.

Il genio genovese di De Andrè, con la sua dimensione dei luoghi reali che diventa anche cartografia dell’anima, avverte la vertigine digradante delle montagne che gli gravano sulle spalle, ma anche la tentazione di un mare aperto che gli si staglia agli occhi e gli vagheggia l’ipotesi di un approdo sovrumano, infinito. Ma non riesce mai a partire, perché la massima religiosità possibile di colui che non crede è per l’appunto la narrazione di un’impotenza, e di una nostalgia. Tre piani sotto De Andrè, o trenta, anche per me è sempre stato così: studente somaro di un impossibile codice della navigazione, non ho mai disposto della chiave di accesso per osare la direzione finale.

Per me e per chiunque, allora, si riforma perennemente alla mente la melodia tripartita del nulla, del dubbio, di Dio. E quasi in parodistica imitazione di agenti segreti che ci cercassero reconditi significati da respingere o da abbracciare, lungo quella armonia tutti riascoltiamo il disco della nostra fede, o della nostra incredulità. E l’invidia di ieri non è già finita, stasera vi invidio la vita. Buona Pasqua a tutti.

Michele Castellari
(Facebook QUI)


La luce in fondo al tunnel (quadro di Luciano poli)

Per gentile concessione dell'autore.
Luciano Lupo Poli
Facebook QUI)




sabato 11 aprile 2020

E’ un attimo cadere (di Maggie e Tiziano Gioiellieri)

Tiziano ha espresso metaforicamente delle emozioni a Maggie, che le ha raccolte, le ha fatte sue e gliele ha restituite in parole scritte. Questo "particolare" ensemble poetico ha partorito questa poesia.

Quando la salita si fa ripida
ho bisogno d'inciampare
di riflettere
di respirare
Basterebbe un attimo per cadere
Rotolo sui miei dubbi
il dolore si conficca nella carne
e il sangue prende fuoco
Ardono le convinzioni
Ed è guerra
Ma sono vivo
ho evitato la morte del cadere
e rinasco sulla voluta sosta
Ad occhi aperti la salita è meno irta
Sono pronto per ripartire




La pellicola sottile (di Alessandra Scisciot)

Una bolla… è il simbolo fisico per descrivere questo fluttuare nell’aria, in una dimensione racchiusa da un’impercettibile pellicola, attraverso la quale vediamo tutto ciò che è fuori, ma ne siamo sottilmente separati. C’è quasi un inganno di normalità - perché il visibile resta quello di sempre - in questa separazione trasparente.
Così, questa mia attuale condizione fluida e sospesa, mi riporta alla fragilità della costruzione del tempo, che nasce per la necessità di scandire, circoscrivere, perimetrare idealmente le cose per collocarle in una struttura mentale, che ci permetterà poi di ritrovarle, ricordarle e metterle in relazione, e dargli un valore.
Il fluttuare sembra annullarlo questo tempo, - che prima ci sfilava tra le dita come sabbia, non bastandoci mai - sembra annullare ogni ritmo, ogni corsa, ogni pretesa. Sembra dilatare tutto, fino quasi a farlo sembrare “eterno”, questo tempo. Quindi un non-tempo.
Mi sono chiesta, quindi, anche di questa coincidenza della pandemia con la Quaresima cristiana, in cui si compie quanto preannunciato dalle sacre scritture, e si conclude un tempo umano con l’apertura di uno squarcio di eternità dell’anima.
La speranza di essere qualcos’altro - che travalichi questa nostra limitata condizione immanente, che mai come adesso, come nei momenti di malattia che ci mettono di fronte ad una vicina o possibile fine - è sempre più presente e incalzante.
Mi rivedo ragazza - quando il sabato di quaresima lo percepii per le prime volte in modo più consapevole e maturo - con quella sensazione di solitudine senza immediata risposta, mentre passavo davanti alle porte delle chiese chiuse. La chiesa chiusa di sabato. Non c’è corpo, non c’è benedizione. Il vuoto dopo l’ultima cena e la morte di Cristo. Quello che provarono anche i discepoli - sgomenti dalla grandezza di quanto profetizzato e quasi impossibile, umanamente, da accettare – provati e privati dall’assenza fisica dell’abbraccio del maestro.
“Accadrà davvero?” – si chiedevano dentro di sé. Cosa sarebbe stato o sarebbe il mondo senza questa speranza di resurrezione? Sarebbe il vuoto lasciato dalla porta di questa chiesa chiusa, chiesa che non è fatta per essere chiusa. Sarebbe un luogo dello “stare insieme” che non lo è più, senza la presenza di Dio.
Questo senso di profonda solitudine mi colse come non immaginavo potesse essere.
Così porto con me questo vissuto della porta della chiesa chiusa del sabato santo, un tempo sospeso tra la morte e la speranza umana di resurrezione.
In quella Resurrezione c’era una promessa, che avrebbe dovuto renderci certi, e non solo speranzosi, in quel momento di sospensione in una bolla.
La bolla diventa allora il necessario momento di passaggio, di metamorfosi, di cambiamento delle mie fragili certezze umane in nome di una certezza vera, di un credo che, unico, potrà essere il motore di un nuovo agire. Il cambiamento ci è richiesto, perché serve a farci travalicare questo trasparente perimetro tra la speranza e la fede, tra la paura e l’attesa certa, tra la consapevolezza e l’azione.
Ecco.
Tutto, in questi giorni di separazione fisica dagli amici e dagli affetti più cari, mi fa pensare a questa pellicola trasparente, come quella dei tubi in cui portano in ambulanza i malati di covid-19, quella delle visiere che separano gli occhi dei medici da quelli dei pazienti, la madre dall’abbraccio al figlio. Una pellicola necessaria perché protettiva, ma anche istruttiva e che in questa nuova e contingente situazione storica attraversiamo solo visivamente, ma a breve diventerà daccapo qualcosa di meravigliosamente e necessariamente fisico. Noi lo dobbiamo credere, non solo sperare. Questa pellicola che ci separa, questa tuta, questa mascherina che ci nasconde il sorriso, che sembra togliere anche patria alle parole, è una pellicola che ci farà rinascere: nella certezza di quello che avremmo dovuto essere e potremo ancora essere nei giorni che seguiranno, di quello che non siamo stati capaci ancora di essere ed ora ci appare chiaro e lampante, di quello che ora dobbiamo perdonarci perché qualcuno, morendo, ci ha già perdonato. Di quello che avremo imparato da questa separazione in questa bolla e che avremo il dovere di far diventare novità quando questa bolla sarà scoppiata.
Allora potremo ritornare nello stesso mondo che vedevamo dietro questa pellicola, dietro i vetri delle nostre case, dietro le tende di plastica degli ospedali, e dal quale siamo stati temporaneamente separati, ed amarlo e rispettarlo come non siamo stati mai capaci di fare, sperando di trovarlo ancora benevolo.

Alessandra Scisciot
(Facebook QUI)



CITTA’ VUOTA ( di Elisabetta Turricchia)


Citta di Imola  (Foto by Tiziano Gioiellieri)

La città è piena di vita, brulica di persone che passeggiano per le vie del centro spensierate, guardano le vetrine e si soffermano a parlare tra di loro. I ragazzi brindano con calici di vino bianco accordandosi per gli appuntamenti del fine settimana. Le grida felici dei bambini che giocano a palla o si spingono sull’altalena nel parco si perdono portate lontano dal fresco vento primaverile.

Buio. Silenzio surreale. La sirena di un’autoambulanza risuona nella notte.
Una poi due poi tre poi quattro poi ancora e ancora.
E’ tempo di cambiare il domani di sempre.
Ragnatele tessute da ragni invisibili avviluppano la città.
Serrande abbassate, esercizi chiusi, aperti solo i negozi che forniscono beni di prima necessità e farmacie.
Poche sagome umane camminano come automi distanti tra loro. Ombre al calar della sera. Difficile distinguere tra di essi gli amici, tutti sembrano sconosciuti nascosti dietro alle mascherine che nascondono i lineamenti dei volti. Una vita nuova da costruire giorno dopo giorno dentro alle pareti domestiche. Casa, dolce casa.
Un mondo diverso, uno sguardo diverso. Leggere un libro dimenticato sopra uno scaffale, abbandonato da tempo immemorabile con la vaga promessa “ti leggerò”, ascoltare quel vinile dei Beatles che ricorda gli anni settanta, quando si ballavano i lenti guancia a guancia con la ragazza del momento, disegnare con una matita i tratti di un profilo, tutto pur di rompere il silenzio della solitudine.
Godere delle cose semplici e sincere. Ritrovare il gusto dei movimenti lenti, senza orari da rispettare, ogni cosa senza fretta.
La minaccia è subdola, penetra dentro e distrugge storie di vita.
Storie diverse per ognuno di noi.
E’ presto, la lotta continua inesorabile con forza e tenacia. Un giorno finirà e come nei tempi passati l’intelligenza, la determinazione domineranno il nemico invisibile.
Nuovamente l’umanità riemergerà per abbracciarsi, baciarsi e sorridere a denti scoperti senza più maschere, almeno quelle di stoffa.

Elisabetta Turricchia 
(Facebook QUI)
nata a Imola il 10 Agosto 1956 abita a Imola e svolge l’attività di educatrice con i bambini disabili per conto di una cooperativa sociale del territorio. Dopo molti anni è riuscita ad esaudire un desiderio che aveva sin da bambina ovvero quello di scrivere un libro. Ha pubblicato “Storie sul divano”, una raccolta di 25 racconti brevi edito da Editrice Mandragora e “I Racconti di Betta” edito dalla casa editrice CTL di Livorno, un libro che contiene 15 racconti di diversa natura. Inoltre alcuni suoi racconti sono stati inseriti nel terzo volume di “Racconti a Tavola”, nel secondo volume di “Racconti Sportivi” e nel secondo volume di “Racconti Emiliano Romagnoli” editi da Historica.

venerdì 10 aprile 2020

CORONA VIRUS 2020 (di Caterina Criscione)

Rende giustizia alla vita

la morte ingiusta che si annida

e reca amore al nostro nido.

Quanto rafforza il pensiero

un corpo debole all'isolamento

e ci protegge così umani.

Semplifica la libertà

sciogliere la morsa mercenaria

e ci riscopre già più ricchi.


C.C. (Facebook QUI

(da "Ottimismo cosmico, 2020)



20 Marzo 2020 (di Mirella Morara)




Malinconica carezza (di Mirna Turrini)


È troppo azzurro oggi il cielo per me
Il tubare di una colomba sul grande cedro
mi infastidisce
E' primavera sì
ma non dentro di me
Vorrei un giorno buio
con la pioggia che sbatte
contro le finestre
e piega le cime degli alberi
e lava via i miei pensieri

Mirna Turrini
(Facebook QUI)



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