domenica 9 febbraio 2020

Insufficiente rendimento (di Arianna Biavati)


– Intelligente, ma non si applica. Così ha detto la professoressa – conclude mia madre. Una rapida occhiataccia di sbieco a me, poi torna a fissare mio padre.
La disapprovazione scorre da lei a lui e mi schiaccia. Chino la testa, non riesco a sostenere quello sguardo. Mi balena in mente l’espressione di disgusto che la professoressa mi elargisce con generosità, negli ultimi tempi.
Già le cose non mi vanno troppo bene, ma la risata è davvero di troppo. Il mio fratellino. Si è goduto la scena e mi deride con impegno. Ride della mia umiliazione. È bravo in Tecniche di Umiliazione, e ci tiene a dimostrarlo. Mia madre lo ricompensa con una carezza e un sorriso pieno d’orgoglio.
Do un calcio alla sedia, esco di corsa dalla cucina e mi rifugio nella mia camera. Sbatto la porta e sprofondo nel letto.
La risata mi è rimasta inchiodata in mente. Insomma, che ne sa lui delle scuole superiori? È solo un bambino. A lezione di Desensibilizzazione vede addirittura solo filmati virtuali. Sparatorie, esplosioni, torture, massacri, tutto è finto. Il sangue non è ancora quello delle persone vere. Non fanno nemmeno Pesta il Verde, solo vivisezione su animali. E Cripto colonizzazione Planetaria nemmeno sa cos’è.
Io non sono stupido. Intelligente, ma non si applica. Non è vero che non mi applico. Non che ci sia un gran bisogno di applicarsi, in Cripto colonizzazione Planetaria. Una volta capiti i principi di base, alla fine i problemi si assomigliano tutti.
Sul pianeta X sono presenti grandi giacimenti del minerale Y, necessario per il miglior rendimento del prossimo comunicatore interstellare della multinazionale Z. Le caratteristiche storiche, sociali, economiche, culturali delle razze senzienti presenti sul pianeta X sono le seguenti (segue elenco delle razze e delle caratteristiche). Progetta un programma di sterminio reciproco tra le razze che permetta alla multinazionale Z, in un periodo di due anni, di controllare l’economia del pianeta. Naturalmente il tutto è corredato dalle tabelle tecniche necessarie per effettuare i calcoli.
Ma il mio problema non sono i calcoli o la progettazione. Li so fare i calcoli, anche bene, e nella mia testa il progetto si sviluppa con chiarezza.
È quando devo andare a scrivere, che mi blocco. Non lo faccio apposta. Inizio tranquillo. Prima fase, seconda fase. Terza fase, scrivo, si prevede il massacro della razza A ad opera della razza B nel numero approssimato di unità tot mila… E qui mi blocco. Perché non vedo più i numeri, ma le facce, quelle dei filmati.
A Desensibilizzazione guardiamo spesso le riprese fatte nelle aree di intervento. La classe ulula di entusiasmo e si torce dal ridere davanti allo spettacolo dei nativi che si scannano. Io, non so perché, non ce la faccio più.
Anche a me una volta sembrava tutto divertente. Adesso no. Certo, rido. Ho imparato a farlo bene, per fortuna, così nessuno si accorge di niente.
Deve esserci qualcosa che non va, in me. Che sia un problema di crescita? Mai avuto difficoltà a scuola, prima. Forse avrei dovuto dirlo a qualcuno. Magari mi avrebbero solo dato qualche pillola per rimettermi a posto, ma ho avuto paura di finire in una di quelle Scuole Speciali.
Non posso nemmeno dare la colpa alla scuola. I miei sono ottimi professori, loro non c’entrano.
Non so cosa sia successo.
No. Dico una bugia. Forse invece sì, lo so. Almeno credo. Alcuni mesi fa. È stato qualcosa nell’espressione del Verde, qualcosa nel modo in cui tremava, raggomitolato a terra, o negli occhi stretti per il dolore e la paura. O forse la lacrima. Strano, perché non mi aveva mai dato fastidio prima.
So che il nome ufficiale della materia è Desensibilizzazione Pratica, ma a tutti piace chiamarla Pesta il Verde. Dobbiamo colpirlo, forte quanto ci pare, ma entro il limite della sopravvivenza. Insomma, ferite o fratture vanno bene, ma meglio non accopparlo in fretta. I Verdi devono durare un po’, non possono sostituirli sempre, sono un costo per la scuola.
Alla fine della lezione portano via il Verde per rappezzarlo, poi passano a pulire. Si fa sempre un sacco di sporco a Pesta il Verde, soprattutto sangue, a volte anche roba più schifosa, dipende da dove viene colpito e da quanta paura ha.
All’inizio ho provato a non fare tanto caso alla faccenda, ho sperato che passasse. Invece no. Addirittura è peggiorata. Perfino andare giù a guardare i Verdi nelle gabbie ha iniziato a darmi fastidio.
Pesta il Verde è diventata un bel problema. Questa è una materia fondamentale, il mio rendimento è calato parecchio negli ultimi mesi, non potevo rischiare brutti voti anche qui, così ho sviluppato qualche buon trucco: in pratica, molta scena e poca sostanza. Finora non se n’è accorto nessuno, credo. Solo il Verde, forse.
Comunque, l’insufficienza in Cripto colonizzazione Planetaria è l’ultimo dei miei problemi, a questo punto.
Ieri notte ho aperto le gabbie dei Verdi e li ho guidati fuori dal recinto della scuola.
Temo proprio che non verrò promosso, quest’anno.


venerdì 7 febbraio 2020

UNA STORIA DI CEGNI (di Aldina Sommariva)

CEGNI CARNEVALE BIANCO 2016


Eccola lì, nella foto del 1960, la bisnonna Maria Maddalena, detta Pulagia per il suo commercio di polli, come la ricordo ancora: una vecchiettina minuta, tutta vestita di un nero che contrastava con la chioma bianchissima e ancora folta. Era morta l’anno seguente, la Pulagia, proprio nel giorno in cui era nata una delle mie sorelle: giorno allo stesso tempo di dolore e di gioia per la mia nonna materna.
Della bisnonna noi bambini sapevamo solo che era nata a Cegni, nella Val Staffora, nel 1878, e che da quando aveva diciannove anni aveva sfornato figlie, una dopo l’altra, fino al 1905: le tre più grandi erano sopravvissute, poi altre quattro, due coppie di gemelle, non ce l’avevano fatta. Nate troppo piccole da quella donna provata dalle fatiche e dalla malnutrizione, erano vissute solo un paio di giorni. Ma in quel paesino isolato da tutto, lassù dove l’Appennino si alza sopra il crocevia fra quattro regioni, la Lombardia, il Piemonte, la Liguria e l’Emilia, la morte di un neonato era qualcosa da mettere in conto. Si piangeva un po’, poi si rimboccavano le maniche e anche le puerpere non tardavano a tornare sui monti per riportare alle stalle l’erba da far seccare e conservare per l’inverno. La morte di una mucca sarebbe stata un guaio molto peggiore. 
Ma la Pulagia non aveva nemmeno una mucca: lei sui monti ci andava soltanto per aiutare il marito a riportare alle stalle le mucche di qualche compaesano più fortunato, cosa che il bisnonno Giuseppe faceva per pochi spiccioli. Non avevano terra, i due sposini: solo una piccola aia dove allevavano qualche pollo, per venderlo. Per loro, la carne era un cibo proibito: ne potevano mangiare un po’ soltanto il giorno della Madonna d’Agosto, invitati da qualche parente.
Venne un giorno in cui Giuseppe, dopo tante incertezze, si decise a parlare con Maria Maddalena. Lo fece nel tepore del loro letto, unico luogo di tutto il loro mondo in cui d’inverno riuscivano a non sentire freddo, abbarbicati l’uno all’altra. In un letto più piccolo, accanto al loro, dormivano le loro tre bambine, messe per traverso. Giuseppe parlò piano per non svegliarle.
“ Lena – disse – bisogna che io parta: sai che da Fego e da Negruzzo partono il mese prossimo due ragazzi per l’Argentina. Bisogna che vada anch’io: qui non ce la facciamo più e rischiamo di morire di fame, noi e le bambine. Là c’è lavoro, dicono. Non starò via per sempre: giusto qualche anno in modo da metter qualcosa da parte: non mi terrò quasi niente per me, ti manderò praticamente tutto quello che riuscirò a guadagnare, così tu e le bambine riuscirete a vivere un po’ meglio”.
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