Recensione al romanzo di Loriano e Sabina Macchiavelli
Quando due sensibilità e due cervelli diversi, ma allo stesso modo dotati dell’inconfondibile talento della scrittura, di quella singolare abilità di trascrivere sulla pagina il complesso reticolo delle emozioni, si mettono assieme e decidono di dar vita ad un’opera artistica, ne risulta, nella maggior parte dei casi, un prezioso gioiello di letteratura.
È il caso, senza dubbio, de La bambina del lago (Mondadori, 2019), un originale romanzo firmato da Loriano e Sabina Macchiavelli, che riesce a coniugare in modo armonico e sapiente una complessa varietà di ispirazioni: una detection colta e avvincente, un mistero intimista e gotico, una vena fantasy, un’implicazione civile, una dimensione lirica e visionaria.
In effetti, nella storia del dottor Astorre, medico condotto, che nell’estate del 1930 si trasferisce con la figlia di dieci anni Aladina in un paesino immerso nell’Appennino emiliano, e nelle nuove dinamiche relazionali che s’intrecciano fra i due protagonisti e gli abitanti del luogo (Cleonice, che si occupa della grande casa in cui vanno ad abitare; la rude ostessa Tina; il Podestà, giovane socialista; il Professore, che conosce i segreti del paese), si riconoscono, elegantemente fuse, senza brusche inversioni di rotta, le due anime degli autori: da un lato una vena investigativa, la solida intelaiatura del giallo, una componente d’impegno civile (nella misura in cui, ad esempio, il velo fiabesco e magico, vagamente ironico, che accarezza tutto il libro mette in ridicolo la retorica del regime fascista); e dall’altro lato, la forza lirica, onirica, tenera, evocativa, quasi struggente nella rappresentazione della bambina, Aladina, che dialoga con gli animali domestici, che osserva il mondo impenetrabile della quercia secolare, che pare sia l’unica in grado di aprire la porta della soffitta dove sono custoditi gli oggetti carichi di simbologie arcane della madre.
Ed è proprio attraverso gli occhi di questa bambina, e dell’altro bambino solitario con cui fa amicizia, il Gufo, che le insegna i misteri della montagna e i segreti degli animali (ad esempio, ad accarezzare piano la testa della biscia, in una straordinaria avventura sotto il lago, con il liguarro, tritoni, sardine, serpentelli, lenticchie d’acqua, in uno dei capitoli più poetici e toccanti del romanzo), è attraverso i loro sguardi puri ed incontaminati, contro la logica severa degli adulti, che si svela il mistero profondo nascosto dentro le cose: attraverso lo sguardo dei bambini “strani”, emarginati e incompresi (e forse anche questo un altro tema civile e militante) si conosce la verità del mondo.