mercoledì 11 ottobre 2017

Gli attori inconsapevoli (di Yari Mezzetti)

Kim Rossi Stuart a teatro
“Quando ci faranno entrare?” domanda in una nuvola di vapore una signora, alzando lo sguardo verso l’immensa sagoma muta e nera del teatro, imponente e solenne in mezzo agli altri edifici circondanti la piazza. Dino si volta verso l’entrata, e un attimo dopo le alte porte di vetro si schiudono piano, inghiottendo il fiume di persone. Infila la mano nell’elegante giacca serale, cerca velocemente il biglietto. C’è ancora. Dino si dirige quindi verso il suo posto, in prima galleria. “Da quanto tempo non entravo qui!” esclama tra sé e sé elettrizzato.

La sala è magnifica, con pianta a ferro di cavallo “stretta”, ossia rastremata verso il boccascena, un’evoluzione estrema e rigorosa dell'antico teatro greco. Tre ordini di gallerie si innalzano dalla platea, completate ai lati da quattro file di palchi, ognuno delimitato da un’apposita balaustra. Sulle pareti risaltano gli stucchi settecenteschi, incorniciati da capitelli corinzi sormontati da alcune sculture classiche. L’alto soffitto affrescato ipnotizza gli spettatori: l’occhio si perde dentro alle complesse trame di colori e sfumature, alle forme tondeggianti, ai decori ridondanti. Lo sguardo di Dino lo percorre da cima a fondo. Intanto la platea inizia a riempirsi, mentre le gallerie pullulano già di testoline che si affacciano dalle balconate. Un climax di sommesso vocio diffonde nell’aria, l’attesa si fa sempre più breve, e il desiderio di assistere allo spettacolo è alle stelle: d’altronde è il miglior evento dell’anno, ultimo appuntamento della stagione. Vi è inoltre l’inedita presenza di uno dei migliori direttori d’orchestra a livello internazionale, accompagnato da musicisti e attori di altrettanto spessore. La sala è ormai colma di spettatori, a formare un insieme di giacche e vestiti eleganti che visti dall’alto della galleria appaiono come un sobrio dipinto puntinista. Terminate le ultime prove e data l’ultima ripassata agli spartiti, anche i musicisti ora sono pronti per iniziare. Il brusio cala, tutti finiscono di interloquire. Dino dà un’occhiata alla signora accanto a lui, protesa in avanti pronta a godersi lo spettacolo. Cala il silenzio. Ci siamo. Nessuno fiata. Nessuno entra. Il tempo scorre lento, passano i secondi. Le luci rimangono accese, il palcoscenico vuoto. Un signore si volta indietro, come a chiedere spiegazione. Poi un altro, e un altro ancora. Sembrano d’un tratto diventati tutti muti, si guardano intorno incrociando lo sguardo dei vicini altrettanto interrogativo. Nessuno osa parlare, ma il palco continua ad essere vuoto. “Dove sono gli attori?” chiede infine una signora. “Dov’è il direttore?” gli fa eco un signore dalle prime file. La stessa domanda riecheggia di bocca in bocca fino a giungere allo staff del teatro, non meno sorpreso degli spettatori. “Saranno in ritardo, o avranno avuto un contrattempo, ma a noi non è stato riferito nulla” spiega con tono forzatamente calmo uno di loro. Intanto l’atmosfera si carica di preoccupazione: ”Ma arriveranno entro breve? Sarà successo qualcosa di grave?” Non esiste certezza in questo momento, e la fantasia umana inizia dispettosa a creare domande e ipotesi sempre più farraginose. Saranno certamente in ritardo, pensa Dino, può capitare, un costume strappato, un trucco da risistemare. Oppure è tutto studiato a tavolino ai fini dello spettacolo, d’altronde di questi tempi si punta sempre più sull’originalità. “Ebbene questa l’ultima trovata: disorientare il pubblico per poi stupirlo con un’entrata a sorpresa, davvero geniale!” ipotizza tra sé e sé Dino. Ma degli attori nemmeno l’ombra. Passano i minuti e la situazione non cambia, anche i musicisti discutono perplessi. “Ma che storia è questa?” esclama un signore dalla terza fila alzandosi in piedi, seguito da altre persone in platea, ora riempita da un incalzante vocio. Crescono i dubbi, “Forse la serata è stata rinviata e non è stato comunicato?” ipotizza la mia vicina di posto, in un estremo tentativo di spiegare razionalmente la situazione. Dino però ora si accorge di non essere minimamente interessato all’evoluzione di quella grottesca circostanza, piuttosto è attratto dalle persone intorno a sé. Reputa quindi interessante notare il panorama delle diverse reazioni che scaturiscono da ognuno dei presenti, andando a comporre un’infinita varietà di caratteri e personalità. Il paziente attende al suo posto composto e pacato l’inizio dell’opera, il burbero minaccia di andarsene con fare iroso, l’ottimista ride da solo infischiandosene del contesto, il pessimista si deprime per aver sprecato inutilmente i soldi del biglietto, l’impaziente ha già il cappotto in mano pronto ad uscire, il preciso sottolinea orologio alla mano che siamo in ritardo di 25 minuti e 55 secondi, il paranoico si chiede perché tutti lo stiano fissando e inizia a ripetersi che è tutta colpa sua, non doveva applaudire così forte pochi istanti prima… Oramai sono tutti in piedi, c’è chi interloquisce con i musicisti, abbarbicati nella loro postazione sotto il palco, chi dalla platea dialoga spensieratamente con le persone sulle balconate, proprio come un ragazzino appena sceso in strada farebbe con l’amico rimasto alla finestra, chi ne approfitta per fare un tour improvvisato lungo le gallerie, come se fosse in un’esotica città turistica…insomma la situazione sta velocemente cadendo nel caos: più che un teatro la sala pare ora una stazione ferroviaria all’ora di punta, ognuno indaffarato e occupato a modo suo. Dino è divertito e allo stesso tempo spaesato, ma continua ad analizzare ciò che sta accadendo. Si volta, e vede un buffo ometto arringare un gruppetto di giovani signore situate nel loggione, poi nota aristocratici signori vestiti eleganti bisticciare rozzamente per riavere il proprio posto, scopre persino un uomo dai baffi da marinaio che si crede esperto d’arte, e che vaga altezzoso per la sala criticando le diverse tonalità usate nell’affresco sul soffitto. Infine non manca chi attacca bottone con i musicisti sentendosi loro “collega” in quanto anche lui da giovane suonò tal strumento. Lo spettacolo è ormai un lontano ricordo, tutti sembrano indaffarati a compiere un qualcosa di molto diverso dall’assistere ad uno spettacolo teatrale.

All’improvviso l’attenzione di Dino è catturata da un fatto che ha dell’incredibile: un enorme pannello sta scendendo sul palcoscenico, agganciato a robuste funi. Si tratta di un enorme specchio! Posizionato proprio in corrispondenza del sipario! Dino si guarda intorno completamente sbigottito, ma realizza che nessuno s’è accorto dello specchio, sono tutti troppo indaffarati nelle loro attività. Dino non sa se essere adesso più frastornato per ciò che sta accadendo nella sala o per la comparsa di quell’enorme specchio passato inosservato da tutti i presenti. Egli ammira quindi lo specchio, fin quando si rende conto con grande stupore che esso è stato collocato esattamente per ammirare con precisione tutta la scena che sta avvenendo nella sala, e Dino non può più non collegare ciò che sta accadendo: in realtà è il pubblico, impegnato nelle più disparate attività della vita, il vero spettacolo! Dino è basito. “Frutta! Frutta fresca!” grida un uomo in piedi su una sedia, riportando l’attenzione di Dino nella sala. Chissà dove avrà trovato quei cesti di frutta! Nel frattempo un’animata bisca clandestina si sviluppa in fondo alla sala vicino alla cassa, mentre un venditore di cocco ambulante esibisce energicamente i suoi prodotti per le gallerie. Lo specchio riflette sempre tutto, nessuno può sfuggirgli, neanche una signora che dà l’aspirapolvere imprecando contro chi non si sposta, nei posti più oscuri della piccionaia. Un’altra signora prepara la cena a base di zuppa su un fornelletto da campeggio trovato chissà dove, mentre un bambino, forse suo figlio, lancia all’aria pezzi di stoffa delle poltrone, e ancora un'altra bambina s’arrampica agevolmente su una colonna del sipario, facendo linguacce tutt’intorno. Insomma il baccano è assordante, e Dino è l’unico ad aver notato il grande specchio e a non essere impegnato nello svolgimento di nessun mestiere, nessun compito, nessuna azione. Alcuni spettatori rincorrono ora oche starnazzanti inciampando e ruzzolando nei buchi che altri spettatori stanno scavando con tanto di badili e piccozze, alla ricerca di qualche materia pregiata. Dino ne ha abbastanza, prende la giacca, fa per incamminarsi verso le scale quando un’anziana signora gli urla in faccia minacciosa di togliersi di lì perché ha appena dato lo straccio, quindi si scusa e facendo attenzione al pavimento bagnato scende nella platea, inciampando però in un trenino giocattolo spuntato da chissà dove, e cadendo addosso allo sdraio di un signore in costume, che gli inveisce contro. Annaspa, fatica a camminare, schiva un violino scagliato da chissà chi, un pappagallo sfreccia nell’aria, un tizio in motorino si ferma a chiedergli indicazioni per il mare, perde la giacca, un vitello impaurito gli galoppa contro, lo evita, finisce in un bel mezzo di un incontro di pugilato, si strappa la camicia, ruzzola per terra, riesce ad evitare un tostapane piovuto dalle gallerie e, finalmente, raggiunge con il fiatone l’ agognata uscita.

Nell’atrio, il silenzio. E’ davvero un altro mondo, dove regna l’ordine e la serenità. Dino accusa il turbamento dell’essere passato da un luogo estremamente caotico e rumoroso ad uno silenziosissimo e deserto. Dopo qualche minuto d’ambientamento, scruta l’immenso atrio. L’ambiente è illuminato da fioche lampade, che appese alle pareti color crema, diffondono la loro luce soffusa creando un’atmosfera soffice e ovattata. Il marmo scuro delle pareti forma con quello chiaro del pavimento una contrapposizione elegante e fine, dando un tocco di classe e distinzione all’enorme sala d’ingresso. Dino avanza esausto fino alle grandi porte di vetro d’uscita, quando d’un tratto scorge una figura in piedi, immobile. Guardo meglio, e tra due imponenti colonne riconosce un buffo signore che gli sorride bonariamente. Dino lo scruta un po’ perplesso, indossa un completo elegante nero. Dev’essere l’usciere, intuisce dal vestito. Ipotesi confermata da una spilletta con inciso “usciere n°5” che l’uomo porta sul petto. Dino gli fa un cenno con la mano, indicando l’uscita. Un vago senso di imbarazzo lo assale nel constatare che il suo vestito, a differenza di quello dell’usciere, è ormai a brandelli.

“Dovrebbe saperlo signore, nella vita niente è certo, e soprattutto non sempre le cose vanno come ce le aspettavamo…spero abbia passato una piacevole serata, arrivederci e buonanotte” sussurra l’uomo placidamente, spezzando quel silenzio immacolato. Dino troppo spossato da quell’incredibile serata non trova le parole giuste per rispondere, e si limita a salutarlo e ringraziarlo con un breve gesto della mano. Fuori l’aria è gelida. Un brivido di freddo scuote Dino, orfano come se non bastasse della sua giacca. La piazza è ancora deserta. Alza lo sguardo verso il cielo, verso un muro denso e lattiginoso. Alla fine il cielo non è altro che la quarta parete di questo grandissimo palcoscenico, dove noi non siamo altro che semplici attori di un’ intricata opera chiamata vita.

Y.L.M.  


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