giovedì 26 ottobre 2017

La Religione del Sapere

Dante e le tre fiere
Fonte foto QUI

Dino si ritrova nel suo paese. Esce di casa, è una tranquilla giornata di primavera. La vita scorre tranquilla nella piazzetta di fronte alla sua abitazione. Percorre le vie del paese, saluta alcuni conoscenti, fin quando non ne incontra uno particolarmente di fretta. “Giovanni! Dove vai così spedito?” “Dino! Che piacere rivederti! Sto andando alla messa delle 17, tra poco finiranno i posti in prima fila!” Dino non ricorda il suo amico come particolarmente religioso, anzi egli è solito definirsi addirittura agnostico. Insieme all’amico Giovanni, vede altre persone dirigersi con la stessa fretta verso la chiesa del paese, così incuriosito decide di seguire questo flusso di uomini, donne, bambini, ragazzi e ragazze diretti tutti verso la stessa meta. Giunto alla chiesa scopre un’intera folla circondare l’entrata, e pian piano prender posto all’interno dell’edificio, che seppur non sia piccolissimo fatica a trattenere quella massa di persone così coinvolte. Dino si intrufola nelle ultime file, accontentandosi di seguire la funzione in piedi. Dopo qualche minuto il brusìo cala, ed un modesto corteo fa la sua entrata dall’ingresso principale. Dino è subito colpito dal vestito bizzarro del parroco: assomiglia molto ad una toga accademica, bordata dal pelo di quello che sembra ermellino, e ricamata da dettagli dorati. Inoltre un cappello squadrato ed un vistoso medaglione argenteo completano il corredo di quello che non sembra affatto un funzionario ecclesiastico. Egli è accompagnato da altri uomini vestiti sempre con una lunga toga e pelo d’ermellino, ma senza calzare nessun copricapo e sprovvisti di medaglione argentato. Ognuno porta con sé diversi tomi tra le mani, almeno tre o quattro ciascuno. Infine Dino nota che tutti i protagonisti del corteo hanno cucito sulle toghe uno spesso bordo bianco. Arrivati all’altare, i funzionari si dividono disponendosi simmetricamente rispetto all’uomo con medaglione e copricapo, che tutti ora fissano attentamente. Il silenzio è interrotto soltanto dal debole fruscio proveniente dalle pagine dei volumi che gli uomini del corteo stanno meticolosamente disponendo sull’altare, e uno dopo l’altro, trovata la pagina esatta, si accomodano su eleganti sedute di marmo. L’uomo chiave, rimasto in piedi al centro dell’altare, prende ora la parola avviando un discorso solenne incentrato su un tema particolare: il sapere. “Che cosa bizzarra!” pensa Dino. Dopo qualche minuto l’uomo conclude il suo breve monologo con parole precise e ben scandite, che sorprendono Dino in maniera inebriante:” Prendetene e leggetene: questa è la mia sapienza, offerta in sacrificio per voi” e nel mentre alza al cielo uno dei volumi portati dai suoi ausiliari, lasciandolo sospeso per qualche secondo, appena in tempo per essere ammirato da tutti. Uno dei suoi assistenti prende poi la scena ed inizia la lettura di quello che Dino riconosce essere un canto della Divina Commedia. Il primo canto dell’Inferno, ipotizza Dino. La sua ipotesi è confermata da un’anziana signora accanto a lui, che gli spiega sottovoce che la prassi è quella: ogni messa del sapere è aperta dalla lettura del primo canto dell’Inferno della Commedia, nel dettaglio dal paragrafo dove Dante viene salvato da Virgilio dalla bramosia delle tre fiere, dopo essersi perso nella selva oscura. L’uomo comune (come tutti i presenti) è simboleggiato da Dante: esso viene salvato da uno dei più grandi poeti antichi, Virgilio. L’uomo mortale indifeso e vulnerabile viene così tratto in salvo dall’ignoranza, dall’inconsapevolezza, dall’ingenuità, insomma da tutto ciò che fa allontanare dalla retta via della ragione, identificata allegoricamente da Virgilio. Le tre fiere, continua a spiegare l’anziana signora, simboleggiano proprio il distaccarsi dalla saggezza: la lonza indica lussuria, che fa deviare l’uomo verso l’eccessivo desiderio offuscando la ragione; il leone rappresenta la superbia nel sapere, cosa pericolosissima perché fa illudere di sapere, e l’invidia nei confronti di chi è saggio: essa è altrettanto pericolosa perché allontana la mente da quello che è l’obiettivo, ossia trovare la ragione, conducendola verso sentimenti negativi e controproducenti per l’apprendimento stesso. Per ultima vi è la lupa che simboleggia cupidigia e avidità: essa allontana l’uomo da ciò che è veramente importante, ossia il sapere e la conoscenza assoluta, portandolo invece a riporre attenzioni ed importanza ai beni materiali, futili e caduchi rispetto al sapere che una volta appreso sarà invece per sempre parte di noi stessi. Dino ringrazia sussurrando l’anziana signora, mentre la parola torna all’uomo chiave del corteo, che Dino ha appreso dalla signora essere in realtà un sommo professore di letteratura e filosofia, portavoce ed esponente della Religione del Sapere. Ora tutti i presenti si alzano in piedi ripetendo la frase di chiusura di quella che è la prima parte della messa del sapere, ossia quella dove si celebra la salvezza dell’uomo dall’ignoranza e il suo conseguente ritrovamento della ragione (rappresentata da Virgilio). La frase recita così:” Non omnes arbusta iuvant humilesque Myricae”: tale verso è utilizzato dal professore per innalzare il livello della messa e portarla nel vivo della sua rappresentazione. Dino è eccitato e sbalordito allo stesso tempo, e quanto vorrebbe aver dato retta all’amico Giovanni ed essersi precipitato per poter essere ora nelle prime file a seguire quella bizzarra ma estremamente affascinante celebrazione. Quindi un assistente del sommo professore si alza ed inizia a leggere un brano. Dino dopo un momento di incertezza identifica la lettura: si tratta della quarta novella della sesta giornata estrapolata dal Decameron di Giovanni Boccaccio, dedicata alle battute di spirito. L’omelia del sommo accademico si incentra sull’importanza quindi della “battuta di spirito”, ovvero sulla risposta improvvisa, immediata e spontanea che però cela dietro di sé una grande arguzia ed intelligenza. Le doti di intelligenza e conoscenza sono essenziali e molto importanti per l’uomo, ma alcune volte non bastano, rischiando di farsi soppiantare da chi invece è solo scaltro ma per nulla intelligente. Per ovviare a queste situazioni decisamente inopportune è indispensabile affinare quelli che sono i “motti di spirito”, come insegna chiaramente il protagonista della novella, il cuoco Chichibio, che grazie ad una risposta di spirito riesce a ribaltare una situazione alquanto svantaggiosa e pericolosa ponendola in un piano di assoluta parità (se non di superiorità) con il suo padrone, il nobile Currado. Ed è proprio questo che si dovrebbe imparare, affilare la propria intelligenza rendendola appuntita per evitare di trovarsi impreparati in qualunque situazione, anche la più difficile e spinosa. Il professore utilizza un esempio realistico: simula un dialogo tra un sapiente ed uno stolto, per il primo sarà impossibile affermare la propria intelligenza perché lo stolto è troppo stupido e troppo poco sensibile per capirla, perciò si crea un paradosso. È come giocare a scacchi con un piccione, siamo molto più intelligenti di lui ma sarà impossibile vincere, perché esso continuerà a starnazzare e rovesciare di continuo i pezzi. Per risolvere questa situazione di stallo è essenziale avere uno stratagemma, un’arma che ci consenta di ristabilire la parità. Quest’arma è data appunto dalla prontezza di spirito: essa non è altro che una freccia destinata a colpire la stupidità. Ecco quindi risolto il paradosso: attraverso la freccia ben appuntita scagliata grazie allo strumento dell’intelligenza saremo in grado di colpire lo stolto e ristabilire la parità, e più saremo abili nell’utilizzo di queste “battute di spirito”, più sapremo colpire bene e precisamente il bersaglio. Esse sono spesso sopravvalutate, ma consentono veramente di uscire da questioni burrascose e ribaltare a proprio vantaggio situazioni che pensavamo essere ormai perdute.
Con queste parole il professore conclude la sua omelia, i membri conduttori della messa riordinano ora i libri, chiudendo quelli finora utilizzati e riponendoli accuratamente con i rispettivi segnalibri nelle pagine giuste, poi aprono altrettanti volumi disponendoli in ordine di lettura. In questi minuti di pausa Dino apprende dall’anziana signora che sono giunti al piccolo intervallo di metà funzione: la prima è sempre dedicata all’analisi di testi antichi e grandi autori del passato, come appunto Dante Alighieri e Giovanni Boccaccio, la seconda parte della messa è invece dedicata ad autori e testi della letteratura contemporanea. Dino viene anche informato del fatto che niente è lasciato al caso e tutto segue un ordine logico, infatti questa domenica si analizza la letteratura, mentre la successiva verrà presa in esame la filosofia, e così via alternando letteratura e filosofia, le due materie che costituiscono quella disciplina, ovvero quella umanistica. La signora infatti illustra che, come tutte le religioni, esse si dividono in varie sottosezioni. Come il cristianesimo si scompone in cattolicesimo, protestantesimo, ortodossia, ecc. la Religione del Sapere si suddivide in varie discipline. Oltre a quella umanistica infatti vi sono le seguenti sotto-religioni: ingegneria e architettura, economia, scienze politiche, medicina e veterinaria, scienze naturali, scienze psicologiche e sociali. Ognuno può seguire quella che più gli piace e gli interessa. Ciascuno è libero di fare la scelta che vuole, tutte sono sezioni del sapere e della conoscenza, nessuno può criticare o sparlare delle altre discipline solo perché differenti dalla propria. Chi vuole può anche seguire più discipline, frequentando le chiese appartenenti alla tal dottrina. Coloro che vogliano diventare professori di una data “parrocchia” devono seguire un percorso di alta formazione sulla specifica dottrina, oltre ad un serrato corso per apprendere nel miglior modo possibile l’arte dell’insegnamento, per poter esercitare la propria carica e tenere messe del sapere. Poi, come nella chiesa cattolica, vi sono diversi gradi: chi raggiunge il massimo sapere in una certa disciplina diventa sommo rettore di quest’ultima, perciò vi è un sommo rettore per letteratura e filosofia, uno per economia, uno per scienze naturali, ecc. Naturalmente chi acquisisce la profonda conoscenza di più discipline può salire di grado, arrivando infine al traguardo di poter essere candidato per la massima carica della Religione del Sapere: il Magnifico Rettore, un equivalente della figura del Papa per la religione cattolica. Esso possiede il sapere di tutte le discipline, è un uomo davvero molto intelligente, di grande acume, estrema sensibilità e profondità d’animo, oltre ad avere una conoscenza vastissima di ogni dottrina. In altre parole è un vero e proprio pozzo di sapienza e saggezza, veramente in pochi riescono ad arrivare a questo livello. Una curiosità è infine illustrata dall’anziana signora a Dino: ogni disciplina ha un suo specifico colore, per letteratura e filosofia è il bianco, ciò spiega la striscia di tessuto bianco cucita ai margini della toga del professore e dei suoi assistenti. Per la dottrina di ingegneria e architettura il colore rappresentante è il nero, per economia il giallo, per le scienze politiche il viola, per medicina e veterinaria il rosso, per le scienze naturali il verde, in conclusione le scienze psicologiche e sociali sono simboleggiate dall’arancione. Dino ringrazia ancora una volta l’anziana signora dell’ultima fila per l’esaustivo chiarimento, e si prepara a vivere la seconda parte della funzione. Il professore prende un piccolo libro e lo innalza verso l’alto. Le sue parole illuminano Dino: “ Ma certo! Come non si poteva dedicare attenzione ad un capolavoro come ‘Il nome della Rosa’ di Umberto Eco?” Aperto il tomo alla giusta pagina inizia la lettura, incentrata su un episodio al principio del libro, ove si esalta in maniera decisa l’importanza dell’acume: il maestro Guglielmo da Baskerville rintraccia con una serie di intuizioni magistrali un cavallo perduto dai monaci dell’abbazia. Questa prova iniziale è solo la punta dell’iceberg della grande sapienza che Guglielmo saprà sfoggiare nel corso del romanzo, trasmettendola all’allievo Adso da Melk. Il professore dimostra a tutti i presenti quanta bellezza ci sia nell’acume più puro, quanto l’ingegno sia prezioso per l’umanità. Egli però si sofferma anche sull’importanza dell’uso dell’intelligenza, invitando i fedeli alla lettura del libro per comprendere come l’acume può essere utilizzato anche per occultare invece che per illuminare (con chiari riferimenti alle menti perverse che governano la mistica biblioteca del romanzo di Eco). Concluso il discorso, il professore annuncia la fine della messa, ringraziando tutti i presenti per il tempo dedicato alla sapienza e ricordando l’appuntamento della settimana successiva, sempre stessa ora ma con la celebrazione della filosofia al posto della letteratura. Gli assistenti si alzano tutti in piedi, uscendo insieme al sommo professore in corteo così come erano entrati, ognuno con i propri volumi sottobraccio. Dino s’incammina verso l’uscita, ritrovandosi nel cortile della chiesa, abbagliato da un forte sole primaverile.


Y.L.M.

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